Morning sun

Oscurità nell’anima

      Da quando si era alzata -presto come al solito- si era insinuato, nella apatia che l’accompagnava da tempo, il seme di fugaci attimi di esaltazione euforica.
Mise la moka sul gas e preparò il caffè.
Il caffè del mattino, nel silenzio della sua casa, era una consuetudine fatta di gesti lenti, come un rito; consentiva alle mani movimenti noti ed alla testa libertà di pensiero. Quello era l’ultimo da bere nella cucina che aveva visto nel tempo la gioia trasformarsi in dolore, in rabbia e poi in paura. E da allora aveva cercato di negare la sofferenza, anche quella fisica. Aveva imparato a non reagire. Si era spenta, a tratti impigrita, fino a diventare la persona che sembrava oggi: insensibile, indolente. Aveva negato se stessa, abbandonato i sogni, o forse no. Da troppo tempo le sue giornate erano divenute tutte uguali: sacrifici, lavoro in casa e fuori, pochi soldi per piccole soddisfazioni. Una vita pesante.
Tra poco, alzandosi, Franco avrebbe rotto l’incantesimo della sua solitudine.
Alle otto, sarebbe uscito, senza salutarla, ignaro di ciò che sarebbe successo li a poco. Ormai era impossibile comunicare in modo sereno con lui e Marta che temeva le sue reazioni, non avrebbe cercato nessun dialogo. Aveva scritto una lettera di addio dopo la richiesta di separazione. Lui ancora non lo sapeva. L’avvocato, una matrimonialista con una bella esperienza ed una parcella importante, aveva preparato la pratica dopo un ascolto attento e dopo averle consigliato il supporto di un centro antiviolenza. Mentre il buon profumo di caffè riempiva l’aria ricordò che la decisione di dire basta l’aveva maturata quando, giorni prima, una giovane ragazza di 18 anni era stata uccisa, fatta a pezzi, abbandonata sul ciglio di una strada dentro due valige. La cronaca le aveva mostrato la durezza del cuore che porta la mente alla barbarie, alla ferocia, alla totale assenza di umana comprensione, ad una esperienza di vita anaffettiva.
Si era trovata a riflettere sulla sua situazione e aveva compreso che in nome dell'amore possono nascondersi desiderio di possesso, prevaricazione, annientamento dell'altro -e a volte- giustizia fai da te da parte del carnefice di turno. Lei non era più la giovane donna con le violette in mano lungo la navata della chiesa al braccio di suo padre.
Dopo la gravidanza il suo fisico era cambiato, come Franco.
Da quando aveva iniziato a dedicare le sue cure anche al piccolo Alessandro, lui aveva manifestato un desiderio di esclusività che era sfociato in una intimità senza tenerezza divenuta presto quasi violenta, dove tutto si consumava in fretta. Lei aveva cercato di parlargli, ma la sua reazione era stata di negazione, di distacco, di accusa. “Hai troppi grilli per la testa“ le aveva detto più volte. Poi erano cominciate le brutte battute sul suo corpo cambiato e quando Marta aveva iniziato una dieta, erano seguiti i sospetti, le accuse, gli insulti, i litigi e gli schiaffi. Fino al silenzio dei sentimenti. Se il corpo di Marta ne mostrava i segni inequivocabili, Franco portava fiori accompagnanti da sorrisi bugiardi e promesse non mantenute. Talvolta li mandava direttamente dalla fioraia, forse per ingannare il mondo su qualcosa
che non c’era più. A volte si chiudeva in un mutismo totale e assenze prolungate e Marta pensava che forse era colpa sua. Franco aveva fatto il deserto in torno a loro, non frequentavano più quasi nessuno ed erano lontani da ciò che era rimasto delle rispettiva famiglie di origine. Non aveva un’amica da così tanto tempo! Un'assenza di relazioni positive e significative, una mancanza di appartenenza e di rapporti umani. Viveva in un mondo affollato, tanti nello stesso recinto, dove nessuno vede nulla, nessuno tende la mano. Ed al lavoro solo rapporti superficiali, conoscenze senza profondità affettiva. Come se, al di là delle apparenze, ognuno si stesse abituando a vivere nelle tenebre. Da tempo, Marta, lasciava che lacrime silenziose dessero sollievo alla sua anima ferita. Aveva ingoiato giorno dopo giorno, con indulgenza e rassegnazione, ogni cosa, per non turbare la serenità di Alessandro. Il giovane geologo di trentanni, ormai in grado di volare libero con le sue ali. Il capolavoro della sua vita.
Doveva svegliarsi dal torpore dei ricordi, dal film in bianco e nero della sua esistenza. In quel momento, il suo viso, mostrava tutti i segni delle sofferenze vissute in quegli anni; solo gli occhi, apparentemente perduti dentro la tazzina, sembravano vedere oltre.
Ufficialmente era in ferie dall’ufficio per venti giorni, in realtà avrebbe preso servizio nella sede che la ditta aveva all’estero. Era stata fortunata. Quando aveva saputo di quella possibilità non aveva esitato. Accettato il licenziamento, ora aveva in tasca un nuovo contratto: la paga era più bassa, ma non aveva importanza. La sua vecchia berlina sarebbe passata direttamente dal lavaggio, alla nuova proprietaria; ne aveva ricavato un piccolo gruzzolo per il futuro. In valigia solo gli abiti, qualche fotografia ed un paio di libri. Era pronta. Aveva volutamente indossato un abito anonimo.
Sentì il campanello suonare, il taxi era arrivato.
Poggiò la tazzina sul lavandino, oggi non l’avrebbe lavata. Respirò profondamente, sperò che la malinconia non si trasformasse in nostalgia e uscì per andare in aeroporto.

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Immagine: Morning sun (1952)
Edward Hopper 
Columbus Museum of Art Ohio Stati Uniti
 

Daniela Lalleroni
Daniela

Salve, sono Daniela, una
ragazza del '53 con la mente
rivolta al presente.  
É tempo di seguire uno 
dei sogni che ho da sempre: 
scrivere.

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