Seduto a terra le gambe tra le braccia, il mento appoggiato sulle ginocchia quasi come un gomitolo, Valerio era chiuso in se stesso a fissare l’orizzonte.
Una finzione: una linea sottile che separa il cielo dal mare con il sole che sembra tramontare dentro l’acqua, ma in realtà cos’è quel confine immaginario? Un inganno come la sua vita felice fino a poco prima.
In testa la solo la deflagrazione delle parole udite.
Era stato un bel pomeriggio.
Gli amici avevano organizzato una festa sulla spiaggia; una sorpresa per i suoi diciotto anni: scherzi, risate, qualche discorso serio sul futuro, grandi fette di cocomero, gelati, la chitarra e un paio di baci rubati a Genny.
Erano fortunati, abitavano in un piccolo paese sulla costa con le colline che degradavano verso la spiaggia, il verde mutava in sabbia e ciottoli e poi, in acqua trasparente. Bellissimo sia d’estate che d’inverno. Un’insenatura dove l’acqua approdava silenziosa, ma d’inverno rumoreggiava infrangendosi sugli scogli che erano una barriera naturale alla lunga lingua di sabbia, spiaggia dei vacanzieri.
Era tornato a casa per prepararsi per la festa della sera che sarebbe continuata in un locale poco distante, regalo dei genitori, e tutto era crollato in un attimo.
Sua madre piangeva e suo padre la teneva tra le braccia parlandole tra i capelli. Non si erano accorti della sua presenza, quel gesto intimo intriso di tenerezza, lo escludeva. Stava per chiudersi silenziosamente in camera senza rompere l’incantesimo, quando le parole di suo padre Mario avevano attirato la sua attenzione.
“Dobbiamo dirglielo a Valerio, è giusto che lui sappia. Lo avevamo promesso a noi stessi che alla maggiore età gli avremmo detto la verità. Vedrai che capirà, è un ragazzo maturo, sa che lo amiamo, non ci abbandonerà per cercare sua madre e suo padre, noi siamo la sua famiglia.”
“Non è il momento, è felice, potrebbe essere un trauma sapere che l’abbiamo adottato. É nostro figlio”. Anna sembrava sull’orlo di una crisi isterica.
Ma di che cavolo stavano parlando?
Per Valerio era stata una esplosione nella mente. Era uscito senza far rumore di corsa verso il mare.
Il mare era da sempre il suo elemento, passava ore a scrutarne i movimenti, ad ascoltarne silenzi e rumore affascinato dal mistero delle origini; un mondo vario e meraviglioso con guizzanti forme di vita multicolori, ma senza la luce del sole, nel buio più assoluto, vivono creature quasi immobili sospese nel nulla.
Come lui in quel momento.
Si era alzata una brezza sottile, l’aria sembrava più fredda o forse era il gelo che sentiva dentro quel disagio improvviso, lo sgomento per una rivelazione inattesa giunta in modo inaspettato.
Le spalle contro una piccola barca rovesciata e le onde che gli lambivano il corpo a lavar via una verità sconosciuta fino a poco prima che apriva l’immaginazione alla curiosità e contemporaneamente alla paura.
Uno sciabordio dell’acqua sul legno dell’imbarcazione e sul suo corpo che nulla aveva in comune con il dondolio nel liquido amniotico del grembo rassicurante della mamma.
Di quale mamma?
Lui conosceva solo Anna che lo aveva accudito, amato e aveva curato sempre le sue piccole e grandi ferite, ma non lo aveva tenuto nel ventre!
Ed ora?
La consapevolezza che l’aveva partorito un altrove irraggiungibile gli provocava un dolore nuovo e inaspettato: non sapeva più chi era.
Cosa aveva perduto?
Rabbia e tristezza mescolandosi, lasciavano affiorare sentimenti di ostilità verso Anna e Mario. Aveva quasi paura di pensarli come genitori, ma gli altri, quelli che non conosceva l’avevano abbandonato.
Li avrebbe cercati?
Tutto tormentava la sua mente, ma in quel momento non riusciva a capire se voleva conoscere il suo ambiente originario e scoprire il perché di quella rinuncia.
Quell’assenza di radici poteva disintegrare la sua storia personale.
In autunno avrebbe fatto l’ultimo anno di liceo, poi archeologia all’università. Sorrise amaro, le prime tracce da trovare erano quelle della sua esistenza; iniziare le ricerche dalla sua nascita.
Tutto sarebbe cambiato, o forse no, dipendeva da lui, dalla sua forza.
Chissà se avrebbe più potuto fidarsi di Mario e Anna che gli avevano taciuto una verità così importante. Negli anni loro avevano dimostrato di credere in lui non solo a parole.
Gli erano apparsi disperati.
Doveva ascoltare ciò che gli avrebbero detto, forse insieme potevano trovare una strada, in fondo non era il solo a soffrire.
Era buio e lui ancora lì, nella stessa posizione. Immobile come una scultura di sabbia, la maglietta incollata sulla pelle per gli spruzzi incessanti dal mare, gelato nonostante fosse ancora settembre. L’unica parte vitale sembrava essere la sua testa, una rotativa dove pensieri e immagini si rincorrevano e davano spazio ad un groviglio di sentimenti contrastanti.
Doveva tirarsi su, non poteva lasciarsi inghiottire dall’ignoto del mare.
Alzandosi le orme del suo corpo sulla sabbia sarebbero state lavate via dalle onde, ma lui esisteva e già sentiva emergere la curiosità verso ciò che poteva essere.
Doveva andare a casa, cercare di ricomporre tutti i pezzi del puzzle che era la sua vita oggi e pensare al futuro.
Suo padre e sua madre erano sicuramente preoccupati di non vederlo tornare, chissà cosa gli avrebbero detto. Sentiva di aver bisogno di tempo per affrontare la situazione.
Aveva solo una certezza: li amava.
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Immagine: Fotografia