casa al sasso

Casa al sasso

      Il cielo era mutato infinite volte quel pomeriggio, la luce attraverso le nuvole illuminava e oscurava il paesaggio come se attraversasse mondi diversi. Tra curve e saliscendi la sua Smart l’aveva portata a destinazione.
"Benvenuti a Pascelupo, 529 m s.l.m”. 
Sembrava un mondo appeso, incantato, dimore silenziose con le imposte sbarrate come palpebre chiuse su visi dormienti. 
Fermò l’auto e guardò il foglietto con le indicazioni ricevuto dal Notaio insieme alla chiave della casa che stava cercando.
A piedi camminò lungo la stradina che costeggiava l’intero nucleo di dimore posate sul dorso della terra come in attesa, non c’era anima viva, gusci vuoti di umanità e di umori: una fortezza silenziosa. 
Si stupì del paesaggio intorno, le pieghe dei monti circostanti cedendo alla notte incombente creavano sfumature di grigi e marroni velati qua e là da nubi basse e rarefatte. 
C’era una falce di luna ed un silenzio assoluto.
Per la prima volta, quel giorno, Trudy -Geltrude all’anagrafe- registrò l’assenza di frenesia e rumore della laboriosa Milano e percepì la forza del tempo declinato non solo dentro le giornate fitte di impegni, incontri, parole pronunciate e scritte, ma anche dentro nuove emozioni. 
Guardò il cellulare, non poteva certo isolarsi, aveva consegnato da poco il suo ultimo saggio per la revisione. 
Pensò che doveva trovare la casa prima che fosse troppo buio, poi con calma avrebbe avuto tempo di ammirare ciò che la circondava e chiarire il perché del viaggio in quel posto. 
Risalì in macchina e tornò indietro, verso l’unica luce che aveva notato poco prima del cartello. La casa era viva, vide una tendina muoversi ed una finestra aprirsi; l’anziana Faustina si affacciò  guardinga, non era consueto sentire un’auto fermarsi a quell’ora in quel periodo dell’anno. Vide la donna sola andare verso la casa.
   "Buonasera, mi scusi, cercavo casa al sasso, sa dirmi?” chiese Trudy
   “Non ci sta più nessuno, la strada è sconnessa, le consiglio di venire in pieno giorno. Deve girare quando trova il cartello - Eremo di San Girolamo- “ rispose Faustina indicando la discesa poco distante. 
   “Stiamo andando a tavola, se ha bisogno di ristoro si accomodi” aggiunse accogliente.
Trudy si stupì di quell’offerta, in città non era così facile avere ospitalità, ognuno pensava ai fatti suoi. Ringraziò e declinò l’invito, era stanchissima.
Si concentrò sull’indicazione ricevuta. Quello strano posto in mezzo ai monti dell’Appennino centrale parlava coi cartelli; ce ne erano tanti ad indicare sentieri, corsi d’acqua  e ripari. I luoghi del silenzio all’interno del -Parco del Monte Cucco- dove l’Umbria e le Marche si scambiano pezzi di terra lungo la linea immaginaria del confine. 
Dopo una curva intravide sulla destra l’ombra della casa mentre a sinistra l’acqua del Rio Freddo danzava al chiaro di luna sui sassi del fondale. La vegetazione rispondeva ad un vento sottile, restò in ascolto il tempo di un brivido: praticamente era sola nel bosco.
C’era una piccola radura, fermò l’auto e aiutandosi con la torcia del cellulare infilò la chiave nella toppa; la luce si accese su una stanza quadrata con un grosso camino pronto per essere acceso come se aspettasse il suo arrivo e volesse darle il benvenuto. 
Stranamente si sentì a casa. 
Poco dopo davanti al fuoco scoppiettante, distesa sul divano che aveva visto giorni migliori, prese nella borsa due barrette e vinta dalla stanchezza si appisolò.

Il sogno era in agguato! Quante volte dopo averlo fatto si era chiesta che significato potesse avere: una vecchia casa sconosciuta, stanze concatenate e  un grande baule da aprire. 
Il battere insistente di un ramo sui portelloni di legno delle finestre, il fischio del vento e il canto ritmato di un cuculo, la riportarono alla realtà. Rimase immobile nel buio rotto soltanto dai bagliori della brace ed attese l’alba ascoltando ciò che sentiva fuori e dentro di se attenta ai suoni di un mondo sconosciuto.

      Ormai Giulio doveva aver notato la sua assenza, non gli aveva detto che partiva. Ultimamente le era sembrato più nervoso del solito, le stava col fiato sul collo e a lei questo non piaceva. Il loro rapporto sembrava solido, ma non aveva nessun desiderio di fare la moglie nel senso comune del termine. Le piacevano il suo monolocale, tempo per se e l’autonomia. Era contenta del lavoro e non aveva ancora pensato alla responsabilità di un figlio. Giulio le aveva detto più volte che in fondo avrebbero potuto permettersi che lei stesse a casa. 
Sbagliato! Non avrebbe mai rinunciato alla sua indipendenza. 
Passavano bei momenti insieme, viaggi, serate fuori e una buona intesa, ma lei non si sentiva pronta a rinunciare al suo spazio vitale. Viveva sola da quando a diciotto anni aveva sofferto moltissimo per la perdita dei genitori in un incidente.

      Sentì delle voci e incuriosita aprì le imposte, era quasi giorno e sul sentiero che saliva verso il monte un piccolo gruppo di persone arrancava chiacchierando. I camminatori della domenica si stupirono di vedere la finestra aprirsi, quella vecchia dimora era vuota da tempo. Accennarono un cenno di saluto e lei, alzando gli occhi verso di loro, rimase incantata: nubi trasparenti  in movimento mostravano e celavano una costruzione di pietra grigia col tetto rosato arroccata alla base di un anfiteatro di roccia calcarea con una con parete scoscesa dove, avrebbe saputo in seguito, c’era un complesso di celle medievali inserite nella roccia, tutto circondato da boschi di faggio e castagno. Più in alto, l’acqua di una piccola cascata scendeva senza senza bagnare l’Eremo. 

   “Buongiorno, andate fin lassù?” chiese. 
   “No, siamo un po’ rumorosi, gli eremiti di  San Girolamo seguono la regola del silenzio” rispose uno di loro prima di scomparire alla vista.

Aveva bisogno di un caffè, l’abitudine che dava il via alle sue giornate. Si guardò intorno e vide la stanza nella sua interezza; il grande camino con il divano era il fulcro dell’ambiente, ai lati due porte chiuse. La mobilia era semplice, essenziale, modesta: una panca con quattro sedie un tavolo lungo e stretto, un lavandino di pietra, un fornello e una credenza che lasciava intravvedere piatti e bicchieri. Trovò una piccola caffettiera accanto a due barattoli, zucchero e caffè. Chissà da quanto erano lì pensò, ma aveva imparato ad accontentarsi. 
Prima di uscire doveva esplorare la casa si disse aprendo una delle due porte. Si affacciò su un minuscolo ambiente di servizio. Un piccolo scalda acqua serviva l’unico “bagno” della casa e la cucina. 
L’altra porta immetteva in una specie di lungo corridoio che dava ingresso a stanze consecutive di cui solo l’ultima aveva la porta. La prima era una sorta di  dispensa, poi c’era una camera con un letto a baldacchino ed un piccolo armadio mentre in fondo la porta si apriva su un ripostiglio zeppo di cose dismesse da tempo accatastate ed impolverate. Un dondolo, un armadio, vecchie tappezzerie, uno scatolone colmo di lana in attesa di mani gentili. 
C’era un forte odore di chiuso. 
In un angolo, nascosto alla vista, c’era il baule del sogno, istintivamente si bloccò timorosa, ma non poteva sottrarsi doveva aprirlo. Seduta in terra non sapeva quanto tempo era passato prima di  aver sollevato il coperchio: austeri vestiti un po’ malandati piegati ordinatamente, una mantellina di lana e biancheria ricamata come era in uso nei corredi delle ragazze. Toccava ogni cosa con rispetto. 
Sotto trovò una piccola valigia di cartone, trattenne il respiro ed aprì la chiusura di latta. Un abito ed un velo ingialliti e tra le pieghe quel che restava di un mazzolino da sposa. Sembrava un centrino fatto al tombolo piegato in due a conservare fiori d’arancio secchi che emanavano ancora una strana fragranza, al centro una sottile vera d’oro bianco. 
Sul fondo un dipinto, il ritratto di una giovane ragazza, -Geltrude 18 novembre 1884- c’era scritto dietro. Se non fosse stato per l’acconciatura poteva essere lei! 
Lacrime calde lungo le guance: chi era quella donna nata esattamente cento anni prima di lei che aveva il suo nome e una straordinaria somiglianza? 
Sgomenta rimise tutto a posto e uscì all’aperto; seduta sul sasso incastonato sul fianco della casa respirò l’aria dolce del mattino. Si accorse che anche in assenza di vento fremevano ugualmente sui rami l’ocra delle foglie morte e lo smeraldo delle gemme, in attesa le une del distacco, le altre dello schiudersi alla vita.

Stava ancora cercando di mettere ordine nei suoi pensieri quando sentì giungere un’auto; Faustina scese portando una piccola cesta con verdure, uova fresche, pane e formaggio. 
“Spero siano di gradimento, ho pensato che qui non dovevano esserci provviste” le disse salutandola. 
Nell’ora che seguì, seduta accanto  a lei come una vecchia amica, le parlò di quella casa, della storia di quella giovane rimasta “vedova” ancor prima di sposarsi e della bimba che portava in grembo di cui, dopo la nascita, non si era saputo più nulla. Trudy ascoltava ogni parola in silenzio consapevole che doveva fare delle ricerche per capire quale legame aveva lei con quella casa e la gente che vi aveva abitato. Avrebbe iniziato dal Notaio che doveva per forza sapere qualcosa e le era sembrato vago e un po’ reticente nel consegnarle le chiavi. L’indomani gli avrebbe detto che prima di accettare quella donazione caduta dal cielo aveva bisogno di alcuni chiarimenti. 

   Un beep segnalò l’arrivo di un messaggio, “Cara Trudy avrei preferito dirtelo a voce, ma sei irraggiungibile, il mese prossimo mi sposo e tra un po’ sarò padre. Siamo stati bene insieme, senza rancore Giulio” 
La sorpresa  durò solo un attimo,  in fondo sapeva da tempo che i loro obiettivi erano diversi, certo avrebbe gradito un po’ di sincerità…
In quel momento la sua attenzione era rivolta altrove, intanto aveva trovato quel luogo incantato un po’ fuori dal mondo che poteva diventare un rifugio per la sua anima. In futuro, forse, le avrebbe  regalato la solitudine necessaria quando scriveva. 
Intanto era lì, si sarebbe goduta quei giorni cercando notizie e collegamenti con la sua vita assaporando quanto scaturiva dal contatto con ciò che la circondava.

   Era uscito il sole.
La pietra dell’Eremo sembrava d’argento e dietro, l’acqua, brillava in mille iridescenze. 
Tra poco sarebbe stata primavera.

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Immagine: Fotografia - Monte Cucco, Eremo di San Girolamo


 

Daniela Lalleroni
Daniela

Salve, sono Daniela, una
ragazza del '53 con la mente
rivolta al presente.  
É tempo di seguire uno 
dei sogni che ho da sempre: 
scrivere.

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