Alla fine era tornata.
Dopo più di trent'anni di auto esilio le circostanze l’avevano riportata al punto di partenza.
Le sembrò tutto cambiato. Era salita in centro con il mini-metrò che non c’era quando se ne era andata e aveva sentito il passare del tempo quando un giovane si era alzato per cederle il posto a sedere. Un moto di gratitudine e allo stesso tempo lo sconcerto di percepire come l’altro doveva vederla. Lei nonostante gli acciacchi sentiva la mente giovane in un corpo affaticato.
L’incanto della vista dal belvedere le diede subito un senso di beatitudine, una silenziosa accoglienza fatta dei colori sfumati della vallata circostante la città e sulla destra, più vicini, imponenti, i campanili e le torri tra i tetti e le case.
Era maggio inoltrato, l’aria profumava di fiori ed era gravida di pollini; nonostante il via vai di persone affrettò il passo, non voleva trovarsi nel mezzo di una crisi allergica. Quando sbucò in via Oberdan fu investita dal vociare dei turisti che entravano ed uscivano dai locali lungo la strada insieme al profumo di cibo: del resto era ora di pranzo.
Aveva scelto quell’orario sperando di non fare troppa fila davanti alla Galleria Nazionale dell’Umbria. Le cronache riportavano che, da quando una ventina di giorni prima era stata inaugurata la mostra, c’erano già state più di ventimila presenze. Si profilava un grande successo.
Era una splendida giornata di sole e Corso Vannucci, chiusa al traffico ormai da tempo, brulicava di persone in cerca di un posto tra i tavolini degli esercizi commerciali sapientemente collocati lungo tutto il percorso. Troppa confusione per i suoi gusti, la città che ricordava era molto più silenziosa. Si fermò solo un momento ad ammirare lo splendido portale di accesso al Palazzo dei Priori, notevole struttura gotica con volte a crociera sostenute da robusti pilastri sorretti da leoni e una complessa decorazione simbolica e fitomorfa. Nella bellissima lunetta le statue dei tre Santi Patroni della città. Glenda riuscì a sgattaiolare dentro al grande atrio.
L’atmosfera cambiò immediatamente: silenzio, penombra e frescura le diedero subito serenità. Era emozionata, improvvisamente si sentì di nuovo a casa.
Assolte le operazioni preliminari per l’ingresso alle sale espositive, bypassando la grande scalinata che le avrebbe richiesto troppa energia, salì in ascensore e si trovò davanti al grande manifesto pubblicitario raffigurante “lo sposalizio della vergine” che introduceva all’allestimento vero e proprio dell’evento che Perugia aveva organizzato per celebrare i cinquecento anni dalla morte di Pietro di Cristoforo Vannucci detto “il Perugino”.
Iniziò così quel viaggio in un tempo sospeso al cospetto dell’arte, muovendosi lentamente accanto a persone silenziose, assorte, in contemplazione dell’ispirazione e della fecondità espresse in dipinti, pale, trittici sapientemente disposti nelle sale concatenate.
Come era sua consuetudine, ogni volta che andava ad una esposizione, fece più volte il giro completo degli spazi soffermandosi a scrutare le figure. Alcune opere, le prime in ordine di realizzazione, erano caratterizzate da personaggi con espressioni forti e terrene, contadini e lavandaie che attraverso una costante ricerca e trasformazione della pittura, diventavano immagini ieratiche, trasfigurate e rese divine dalla grazia, pervase da una delicata malinconia in un’armonia di colori, di forme e trasparenze.
Immobile davanti a quel grande dipinto, che in verità aveva avuto occasione di ammirare anche in Francia al Caen Musée des Beaux-Arts, continuava a fissare quei personaggi silenziosi ed insieme parlanti: il linguaggio espressivo delle mani, la leggerezza e la raffinatezza di barbe e capelli, lo sfondo dove l'imponente edificio ottagonale era in completa armonia con la delicatezza del paesaggio. Il suo sguardo tornava insistente sulla scena in primo piano, con il sacerdote intento a celebrare “lo sposalizio” con un anello solo da immaginare: un gesto simbolico di fortissimo impatto con il vissuto e l’emozione di chi guarda.
“Bellissimo” sussurrò a se stessa.
«Si Glenda, è veramente bellissimo»
Le era sembrato di essere sola quando si era lasciata scappare quel moto di ammirazione, si girò di scatto, conosceva quella voce. Alfredo era dietro di lei, immobile; il viso appena un po’ più morbido di un tempo, i capelli brizzolati e vaporosi somigliavano a quelli dell’officiante del dipinto, un paio di occhiali scuri che la lasciarono interdetta considerata la penombra in cui era immersa la mostra. Si accorse allora del bastone bianco tipico dei non vedenti.
Ci fu un momento di imbarazzo.
«Che coincidenza Alfredo, incontrarci qui dopo tanti anni»
«Ti aspettavo Glenda, ho sognato di vederti alla mostra. Non è un incontro fortuito, da quando la mia disabilità visiva è in aumento ho affinato altre sensibilità. Talvolta sogni premonitori mi permettono di stare vicino alle persone che amo. Ho sperato che le tue abitudini non fossero cambiate troppo; allora non amavi la confusione quindi, se avevo sognato giusto, avresti scelto un orario di minore affluenza. Mi è andata bene, io non ho mai smesso di volerti bene.»
Lei lo guardò smarrita, fino a qualche giorno prima quando il notaio l’aveva chiamata per la firma dei documenti di vendita della vecchia casa paterna di Assisi, non sapeva nemmeno che sarebbe tornata in Umbria. Non poteva certo farsi scappare l’occasione per fare quel giro a Perugia.
«Cosa ti è successo ?»
«Usi lo stesso profumo di allora» disse lui come se non avesse udito la domanda.
Lo vide deglutire e poi serrare la mascella come se l’argomento fosse ancora troppo doloroso.
«Non potevo credere di non averti più accanto, non riuscivo a capire cosa ti avevo fatto. Ho pensato che ti fossi innamorata di un altro, nessuno dei nostri amici sapeva darmi una spiegazione, una informazione, un indizio di come trovarti. Dopo che te ne sei andata, ho iniziato ad avere forti mal di testa, disturbi dell’equilibrio e della vista, convulsioni. Tutti pensavano che fosse il dolore per averti perduto dall’oggi al domani, poi mi hanno diagnosticato un tumore cerebrale benigno e mi hanno operato. É stato un periodo lungo e molto difficile, ho rischiato anche di morire. É andato tutto bene, a parte questa disabilità visiva che per ora è solo ipovedenza, ma potrebbe diventare cecità. Dopo la perdita di mia madre ho dovuto pensare anche ad una compagna, mi sono risposato, ma è un’altra cosa. Non abbiamo figli. Tu invece non sei cambiata, sei sempre bellissima. Sei felice?»
Glenda non sapeva che dire. Aveva sempre pensato ad Alfredo come ad un bravo ragazzo; semplicemente aveva scoperto che lei non era fatta per stare con qualcuno e l’affetto che provava per lui non era sufficiente per tenerla dentro un matrimonio durato pochi mesi. Una sera, dopo qualche settimana di dubbi ansie e ripensamenti, aveva preso una decisione e lo aveva avvertito che il giorno dopo sarebbe andata via. Così era stato.
Aveva cercato di diventare trasparente. All’inizio non si era sentita fiera del suo comportamento, ma non voleva sperimentare anche la vergogna per le reazioni di biasimo e critica che gli altri avrebbero avuto. Sapeva di averlo ferito. Sapeva che per lui sarebbe stato un fulmine a ciel sereno, ma presto i sensi di colpa avevano lasciato posto al senso di libertà di cui aveva necessità per vivere e non soffocare. Lo aveva rivisto in tribunale il giorno del divorzio e dopo aver firmato velocemente i documenti era sgattaiolata via. La sua professione l’aveva portata a girare il mondo, aveva fatto il vuoto intorno a sé tagliando i ponti con tutti, compresa la sua famiglia che nel frattempo era venuta a mancare.
Un’esistenza senza fissa dimora.
La sala si stava animando di nuove presenze, si spostarono verso l’uscita della mostra per non disturbare. Alfredo allungò la mano libera verso la sua in una carezza fugace.
«Sarò grato al “Perugino” per sempre; è davvero “il meglio maestro del suo tempo”.» disse avvicinandosi a lei come se volesse abbracciarla.
«Possiamo incontrarci domani per un caffè? Mia moglie sa che sono qui, potrebbe arrivare da un momento all’altro.»
Fu come se l’avesse evocata. Lo vide irrigidirsi impercettibilmente, vide la mano stringere forte la testa del bastone mentre le pieghe del suo viso mostravano tutta la tensione che stava vivendo.
«Vieni Eufrasia, ti presento...»
«Piacere, sono Carla, una vecchia compagna dell’università» disse velocemente Glenda infilandosi in quell’attimo di incertezza di Alfredo.
Lui deglutì, si rilassò ed accennò un sorriso. Nessuna delle due tese la mano. A dispetto dell’origine del suo nome che indicava letizia, il suo aspetto mostrava una certa rigidità, un distacco accompagnato da un porsi in modo autoritario ed inquisitore. Corporatura media, capelli cortissimi, e occhi esageratamente bistrati ad accentuare la durezza del viso.
«Alfredo si fa tardi, dobbiamo tornare a casa.»
«Eufrasia che dici potremmo invitare Carla per una cena?»
«Grazie Alfredo, riparto domani.» disse velocemente Glenda rivolgendosi a lui senza attendere la risposta dell’altra. Era una bugia, si sarebbe trattenuta ancora qualche giorno, ma non voleva certo infilarsi in una situazione difficile; una cosa era presentarsi con un altro nome per non trovarsi all’interno di una scena di gelosia, un conto sostenere una parte non sua e magari alimentare in Alfredo false illusioni.
Eufrasia la guardò quasi con gratitudine, non le piaceva cucinare, men che meno per una persona appartenente ad un periodo della vita di Alfredo che lei non conosceva, ma sapeva essere stato difficile con un amore e un matrimonio finito che lui, dopo tanti anni, non aveva ancora archiviato. Non aveva voglia di condividere la malinconia che certi giorni lo attanagliava, in balia dei ricordi.
«É stata una bella combinazione incontrarsi in questo luogo, dopo tanto tempo» disse Glenda tendendo la mano ad Alfredo in un gesto di commiato. Avvertì un brivido, un attimo in cui comprese che in lui era ancora presente la memoria della ferita.
Poi, quando Eufrasia e Alfredo si furono allontanati, Glenda fece un ultimo giro e si fermò ancora davanti a quel capolavoro dove, solo per un momento, il passato si era fatto improvvisamente presente.
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Immagine: Lo Sposalizio della Vergine, (Particolare) – 1502/1504
Pietro di Cristoforo Vannucci detto “il Perugino”
Caen, Musée des Beaux-Arts