26 aprile 2020
Vedo dalla finestra la tua casa e vorrei venire a trovarti come è mia consuetudine, ma siamo in pieno lookdown, non si può uscire se non in casi particolari, è tutto chiuso: negozi, scuole, ristoranti, eventi di ogni tipo. Misure di contenimento della pandemia; confinati nello spazio circoscritto delle nostre case e in quello personale dei pensieri. È strano sai, io che per scelta preferisco la solitudine alla gente, in questo momento patisco l’impossibilità di compiere quei piccoli gesti che mi tengono in contatto con le persone e le cose che mi fanno stare bene.
Sono stata colta di sorpresa dagli avvenimenti e non so come comportarmi: non è la prima volta.
Per fortuna posso scriverti, ho deciso che riprenderò a farlo come quando eri lontana.
Solo stamattina ti pensavo, mentre indaffarata nella preparazione della marmellata di arance, rammentavo che avevi molto apprezzato l’ultimo vasetto che ti regalai.
Ricordi? Ecco la bellezza del nostro rapporto, piccole cose e sentimenti profondi.
Era primavera inoltrata quando ci siamo conosciute all'ombra del grande abete argentato nel giardino di casa mia, ci guardavamo per trovare le parole da dire; un attimo sospeso nel silenzio senza estraneità come se, a dispetto del fatto che era la prima volta che ci incontravamo, ci fosse stato un tempo precedente già vissuto, sperimentato insieme.
Occhi limpidi i tuoi, come sempre li ho trovati nel tempo trascorso, anche quando eri pensierosa per decisioni importanti che entravano nella tua vita e ne delineavano il cammino. Quante volte mi sono chiesta e ti ho chiesto quale poteva essere il collante della nostra amicizia, così diverse e così vicine nel sentire: il diavolo e l'acqua santa.
La prima volta mi hai colto di sorpresa tanto tempo fa, quando un pomeriggio in giardino, impacciata ma determinata mi dicevi che non ti era più possibile aiutarmi con il piccolo Alessandro perché avevi deciso di seguire una strada diversa alla ricerca della verità e della luce e saresti, di li a poco, entrata in convento per fare il percorso necessario per diventare suora. Io, non credente, fui doppiamene incredula, non riuscivo a comprendere la forza della tua decisione, il coraggio di una scelta che altri non compresero. Avevi solo venti anni!
Decisi in quel momento di starti vicino, forse più per provare a capire che per sostenerti.
Era pieno inverno quando venni a trovarti ad Assisi, ricordi? Avevi la finestra aperta e ti scaldavi ai raggi di un sole che era una pallida luce nel cielo grigio, più che calore sulla terra.
Ero disperata.
Tu, serena e sorridente tra le mura spoglie di una piccola stanza: un letto, una seggiola, un minuscolo armadio ed un comodino con i libri di preghiere.
“Puoi fermarti a mangiare se vuoi” dicesti sommessamente; fu un’esperienza incredibile.
Una scodella di minestra di verdure dell’orto del convento, un piccolo pezzo di formaggio e una fetta di pane. Un silenzio assoluto. Nemmeno le posate sul piatto facevano rumore. Una grande pace, una vita scandita da differenti ritmi e consapevolezze.
Uscisti da quella esperienza con la convinzione che la tua strada fosse si di preghiera, ma anche di gente, di mondo vissuto con operosità, di servizio, di solidarietà e disponibilità al lavoro e al sacrificio per l’altro, di dedica a Dio attraverso le opere da costruire nelle attività quotidiane. E per questo, tanti anni di missione in Perù: questa è stata la seconda volta che mi hai colto di sorpresa.
Nella differenza tra il silenzio e l’introspezione della preghiera ed il rumore nel darsi alla vita di sacrificio, di rinuncia, di scoperta, di fatica in un luogo così lontano e diverso e, in questo vivere giorno dopo giorno le difficoltà, trovare forza nella fede. Quante volte ti ho domandato cos’è la fede? E tu con semplicità “é qualcosa che senti e non devi spiegare, la gioia di vivere ogni giorno dando alla vita una dimensione oltre la morte”. Ti invidiavo un po’ questo stato di grazia.
Un periodo scandito da lettere, racconti delle nostre vite e delle asperità di ogni giorno. Era bello scriversi, tenere un contatto semplice e costante, leggevo con avidità quello che mi arrivava e poi rileggevo, rileggevo ogni parola per capire. Ci siamo sostenute nei rispettivi momenti di difficoltà anche da lontano; tu in Perù in un percorso senza dubbio faticoso ma convinto, io qui a fronteggiare il dolore di una perdita.
Quanta forza, quanta determinazione nel mettere al servizio di un altro mondo giornate gravose, essenziali e quanta lucidità ogni volta che prendevi delle decisioni; anche quelle che poi mettevano nella tua testa qualche dubbio sulla loro bontà, sulla difficoltà a far comprendere a tanti il tuo punto di vista.
Anche per me anni di sofferenza per la malattia e la morte di mio padre, un dolore che ho potuto condividere con te. Una spalla lontana pronta ad accogliere le mie lacrime. La possibilità di riflettere a distanza, tra una lettera e l’altra. Ne ho un pacchetto legate con un nastro viola.
Un paio di volte all’anno tornavi per brevi periodi; c’incontravamo. Poi deve essere successo qualcosa, sei tornata definitivamente ed abbiamo ripreso un cammino, non assillante, ma costante con la certezza che anche se non ci si vedeva spesso eravamo comunque vicine. Eri qui e vederci era quasi più complicato; le nostre giornate, con tempi diversi, ci consentivano solo ogni tanto di passare un po' di tempo insieme: una cena, una camminata ad orari che definivi per te "impossibili", qualche telefonata. Ci capitava, a volte, di percorrere la stessa strada alla stessa ora in direzioni opposte, un ciao con la mano ed un suono di clacson bastavano fino all'incontro successivo. Quanto abbiamo riso quella volta che non ci siamo riconosciute subito e poi, con il dubbio insinuato nella mente, ci siamo parlate al telefono chiedendo cautamente “ma ieri sulla curva eri tu”?
Ricordo l’ultima volta ci siamo viste a Natale, per gli auguri, con la promessa di stare presto insieme per una cena: non è stato possibile. "Sono tanto stanca" mi hai detto seduta accanto alla finestra, guardavi fuori con gli occhi un po’ velati parlando sommessamente d’amore, quello terreno, senza andare a fondo nel racconto ed io come sempre ho ascoltato senza interferire, senza chiedere, lasciando a te il tempo di decidere.
E dopo pochi giorni, mi hai stupito ancora. Senza salutare nessuno, nel sonno, hai fatto da sola un viaggio verso la luce della tua vita andandotene in silenzio all’alba di una notte senza luna, con un rumore di fondo che certo non ti avrebbe fatto piacere. La curiosità della gente è difficile da tenere a bada! Quello che non si spiega e non si conosce, spaventa.
Quella è stata una giornata lunga e vuota, il viso bagnato di lacrime e in testa mille domande. Tutto il giorno in pena, senza sapere come mettermi in contatto con la tua famiglia. Poi tua madre, nonostante il suo dolore, mi ha chiamato ed ha liberato il mio cuore dalla paura. Un gesto che mi ha commosso profondamente. Nonostante la sua disperazione ha avuto la sensibilità di mettersi in contatto con me sapendo il bene che c’era tra noi, quasi a consolarmi come io avevo fatto con lei quando tu eri in Perù e lei non sapeva darsi pace. É stato difficile per lei, da mamma, accettare questa prova gravosa. Loro, tuo padre e tua madre, nella loro compostezza hanno mostrato ognuno a suo modo, l’affetto, l’incredulità e lo sgomento per quanto è improvvisamente accaduto, ponendosi mille perché in attesa di un responso dell’ospedale che non ha cambiato la realtà.
Sono venuta ad aspettare il tuo ritorno nella casa di quel Dio che hai tanto cercato. É la seconda volta, in trentotto anni, che varco quel portone e l’ho fatto sempre per rispetto ed affetto per te. Non c’era gente ancora, nella penombra e nel silenzio ho sperato che tu potessi trovare la strada da percorrere per giungere a Lui con serenità, pace, gioia nel cuore. E poi dopo, mentre la comunità riunita intonava canti di gloria, mi è sembrato di vederti sorridere delle nostre debolezze.
Mai rimandare un incontro con una amica, si potrebbe non avere più l’opportunità.
Dove vengo a trovarti ora, ogni tanto, parlo solo io. Tu ascolti in un silenzio immenso eppure so che ci sei, sento che siamo ancora in contatto seppure su piani diversi per materia ed energia.
La prossima volta, quando sarà possibile di nuovo, seduta sul muretto davanti alla tua fotografia ti racconterò ogni cosa, ti dirò di questo brutto periodo che stiamo vivendo, di come l’isolamento provi ad inaridirci il cuore ed il timore di un male oscuro ci allontani dalla solidarietà, da quella fratellanza che tu hai perseguito. Un tempo duro se non siamo capaci di stare con noi stessi.
Anche oggi, nonostante tutto, ho rifletto su quanto mi hai regalato. Sei nel mio cuore senza disperazione, dolcemente.
Grazie Bianca, amica mia cara.
-----------------------------
Immagine: Fotografia personale (modificata)