Eppure questo tempo mi piace, pensa Viola entrando nel bar M&M, un luogo asciutto, una sala riservata con una vetrata verso il panorama: nuvole grigie e compatte, un mondo ovattato.
Ma in un attimo tutto cambia!
La pioggia diminuisce, le ultime gocce si rincorrono veloci sul vetro e timidi raggi di luce bucano il cielo. Sembra tutto in movimento; correnti ascensionali prodotte dal vento danno spazio a sfumature di azzurro. É bello osservare il muro dissolversi pian piano per lasciare posto a “cordigliere” di nubi bianchissime. Sembra quasi un treno che prende velocità e invita a fare un giro. Viola si sente leggera, gocce di pioggia le sono scivolate dai capelli dentro il collo del maglione, la pelle umida in un legame con la natura.
È quasi felice; un sentire figlio dello star bene con se stessi.
Seduta su una poltroncina d’angolo, chiude appena gli occhi per godere appieno di quel benessere e si ritrova dentro una nuvola.
È strano, le sembra di essere lungo il corridoio di uno dei reparti femminili di internamento dove si affacciano sia le porte della solitudine, rigorosamente chiuse a chiave, sia quelle delle camerate delle pazienti meno pericolose.
Tutto è bianco, l’assenza di colore è assenza di vita, negazione di identità e di socialità.
Bianchi sono i muri, i camicioni che le malate indossano, le camicie di forza per la contenzione. Bianche le lenzuola, le divise di infermiere e medici.
Solo oltre le inferriate delle finestre il mondo prende colore ed il Parco Santa Margherita le appare come la cornice preziosa, di un quadro doloroso.
Come un tempo, è preda della disperazione, non paura, inadeguatezza, estraneità, impotenza. Il silenzio è assordante, nonostante dietro quelle porte oda i lamenti di allora, i pianti muti dell’abbandono, la solitudine. Come allora, aggrappata alla grata, asciuga la lacrima che le ricorda che è viva.
“Viola, sei tu?”
Chi la chiama? Gira la testa e in fondo al viale la vede avanzare; esile, bionda, bella, un abito dai colori delle foglie d’autunno. “Che fai qui?”.
“Non so, sono salita su una nuvola ed ora son qui. E tu Terry che ci fa qui?”
“Io vengo ogni tanto, per non dimenticare. A volte, come oggi, incontro qualcuno che mi ha voluto bene e vuole ricordare perché ancora, nonostante tutto, lo stigma c’è.
Ricordi, quando è iniziato il lavoro di superamento dei Manicomi c’è stato un grande fermento, si sono cercate nuove strade per affrontare la malattia mentale. Le assemblee con la gente e i malati.
Alcuni non volevano saperne di uscire e il dottore, diceva -la terapia non è una proposta di felicità, ma una proposta di realtà. Ci vuole un cambiamento, serve trasformare soggetti anonimi in soggetti sociali. Serve cambiare i modelli di riferimento- Sai Viola, io credo che fosse un'utopia, ma necessaria.
Ricordi il mio Rirì? Lui, come me, non era segregato, era ospite andava e veniva, lavorava. Quando ci siamo sposati sembrava felice; aveva la sua donna e la sua piccola casa, ma non è bastato. Fuori, ogni giorno, le stesse barriere: pregiudizi, vergogna, ricordi dolorosi della sua giovinezza un po’ sciagurata. Quel gesto irresponsabile fatto a quindici anni con la pistola e una pallottola; non lo ha ucciso, ma gli ha lasciato una leggera paresi e crisi di grande male.
Una esistenza tutta in salita. Sua madre, ragazza, aveva cercato di nasconderlo al mondo e lui voleva attenzione, un riconoscimento o forse fu solo il gesto di un ragazzo irrequieto. Lei, poi aveva sposato un uomo facoltoso, più grande ed aveva avuto un altro figlio, lui aveva sperimentato il manicomio.
Tu sai di che parlo Viola, la storia la conosci bene. Sai quanti ostacoli abbiamo dovuto superare; qualche sfida l’abbiamo vinta, ma non tutte. Ad un tratto non volle più dare fastidio”.
Terry gli occhi pieni di lacrime, la voce solo un sussurro, un mesto sorriso; Viola allunga la mano per farle una carezza, ma non c’è più.
Quando riapre gli occhi, sulla poltroncina accanto c’è Milo.
Che strana coincidenza; lui è un giovane che non ha vissuto il Manicomio, ma sperimenta ogni giorno la distanza con il mondo dei normali. Trentenne, bravissimo a scuola, colto, interessato alla letteratura, non riesce a colmare la distanza del suo sentire con il sentire di chi lo circonda.
La guarda.
“Anche tu hai qualcuno che ti parla in testa? “Qualche giorno ho la testa piena, voci che si rincorrono e mi comandano. A volte sono buone voci, ma non sempre.” dice con una nota di preoccupazione.
Il volto senza espressione, sembra completamente chiuso in se stesso, quasi a non lasciar trapelare nessuna emozione.
Viola sorride e dice un po’ a lui e un po’ a se stessa che i pensieri, a volte, ci accompagnano in luoghi inesplorati che si fa fatica a comprendere. Lui si rilassa, sente che nella risposta non c’è giudizio.
Max, dalla sala bar porta tazze di tè fumante mentre arriva sua sorella Marta, amante di fotografia. È bravissima a cogliere quello che c’è dietro l’apparenza!
“Milo prendi il tè con noi?” chiede. Lui fa di no con la testa e si immerge nella lettura.
“Viola anche tu leggevi?”
“No, ho fatto uno strano viaggio dentro una nuvola. Un giorno ti racconterò.”
Avrebbe ancora tempo da dedicarsi, ora è sereno; non sa come è scesa dalla nuvola.
La musica dei pensieri e delle emozioni lascia spazio al rumore del quotidiano vivere.
Saluta e va verso casa. Ha bisogno di riordinare le idee.
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Immagine: Fotografia